Di passati e di presenti (2015 - 2018) è l’antefatto di Carissimo Iosif, il primo capitolo di una trilogia che non esiste.
Perché una storia si possa raccontare serve una fine.
Una fototessera scivola via e avvia una serie di altre immagini.
Di passati e di presenti.
Di futuri auspicati.
All’angolo con un’enoteca che si presupponeva fosse aperta.
Un insulso incrocio dove adesso c’è il suo ologramma.
Inizio di passeggiate tra cantieri e strade con un elevato tasso di mortalità.
Le sembrava di non avere mai vissuto a Milano.
Se avesse detto: “ti stavo pensando”,
non sarebbe stata una coincidenza.
Era una costanza.
L’ha sentita?
L’ha chiamata.
Pronuncia il suo nome a distanza,
come se la sua voce potesse arrivarle.
Le ha parlato.
L’ha sentita?
Non distingue i sogni dai pensieri.
Il cielo è il punto di congiunzione con chi non c’è.
Guardarlo è l’unica cosa che hanno continuato a fare insieme. In luoghi e tempi diversi.
Dialogo. Atto unico.
La storia è già iniziata. Forse si tratta di una fine.
Si stanno per dire addio. Grazie.
Sedute su una panchina, come se volessero allontanare il momento.
Pochi spettatori: un palo della luce storto. Un albero
solitario a metà sala. Qualche passante. Le piazze sono
palcoscenici.
Sei ore di spettacolo. Qualsiasi pubblico si inclinerebbe
al sonno, invece, il palo in prima fila sembra raddrizzarsi.
L’alberello è retro illuminato dall’occhio di bue naturale
che cala lentamente e rende tutto rosso e giallo. Un pigro autunno. Il cielo azzurro limpido, perché il cuore non vede lo smog.
I corpi si dicono tutto abbracciandosi, stringendosi,
annusandosi. Non ci sono baci, per proteggersi. Le mani
si cercano.
Gli stati d’animo si declinano tutti: dalla gioia, al dramma.
Dalla sfiducia, alla speranza.
Luogo e durata sono relativi. Può essere scomodo, può
essere infinito.
Per loro è stato breve e rassicurante.
© serena guerra